E’ nato a Fiume il 24 febbraio 1900.
Laureato in ingegneria ha lavorato alcuni in Inghilterra. Rientrato a Fiume per aiutare il padre nell’azienda di famiglia,entrò per la prima volta in contatto con il Partito Popolare e con la realtà politica e sociale del movimento cattolico. Fu per lui un’esperienza decisiva alla quale sarebbe rimasto fedele per tutta la vita. Nel 1933 è assunto ai Cantieri Riuniti dell’Adriatico, nel 1939 si trasferisce a Genova, all’Ansaldo di cui diventa Direttore. Con la caduta di Mussolini, dopo il 25 luglio 1943 stringe subito rapporti con il movimento antifascista adoperandosi per la rinascita della Democrazia Cristiana, ma nello stesso tempo partecipa alla nascita delle “Commissioni Interne” elette democraticamente per la prima volta dagli stessi lavoratori. Dopo l’8 settembre 1943 si attiva personalmente nella costruzione e nel consolidamento delle attività clandestine, non solo in ambito aziendale, ma nella stessa organizzazione e strutturazione della rete esterna del CLN genovese. Grazie anche a lui il 1° novembre 1943 parte da Voltri una barca sulla quale è stato installato un motore marino prototipo, prodotto proprio in Ansaldo, messo al posto del vecchio e rumoroso motore del gozzo da pesca. Tra i prigionieri inglesi che con il gozzo sono portati in salvo, c’è anche un parente del generale Montgomery, sir Gordon Thomas Gore, evaso da un campo di prigionia. Quel viaggio permette, di ritorno dalla Corsica, di mettere a disposizione del CLN genovese una radio ricetrasmittente che sarà fondamentale per i contatti con gli Alleati. Paolo Reti è parte dell’Organizzazione Otto (dal nome del suo capo prof. Ottorino Balduzzi) che, in Liguria, era impegnata ad aiutare i prigionieri Alleati a passare le linee, a organizzare i “lanci” di armi alle nascenti formazioni partigiane e a passare informazioni agli Angloamericani, organizzazione che subirà un duro colpo con l’uccisione al forte di San Martino il 15 gennaio ’44 di otto suoi membri, compreso il comandante Balduzzi. Paolo Reti non è individuato, anche se su di lui ci sono molti sospetti. Contribuisce sempre e comunque alle iniziative del comitato clandestino di fabbrica (scioperi, diffusione di stampa clandestina), costruendo una fitta rete cospirativa nella fabbrica e tra i sette stabilimenti che allora erano presenti in città (in quel momento in Ansaldo operavano 36000 dipendenti su 50000 occupati nell’industria genovese). Reti costruisce inoltre, con il comitato di agitazione clandestino, una rete solidaristica che è fondamentale nell’aiuto alle famiglie di quegli ansaldini che avevano subito la prigione a Marassi, le torture alla casa dello Studente, la deportazione o cose ben peggiori. Un uomo che ha saputo instaurare uno stretto legame con quelli che come Lui si battevano in quella lotta, al di là della professione e dell’appartenenza politica. Questo suo agire non passa inosservato, è pedinato ovunque e alla fine gli amici e i compagni di lotta riescono a convincerlo. Reti ritorna a Trieste con la moglie e le figlie, ma non smette la sua attività cospirativa. Qui diventa segretario del Comitato cittadino del CLN di Trieste, mantenendo in tale veste i contatti con il CLN Alta Italia con sede a Milano, dove Reti si reca spesso nelle vesti di rappresentante di orologi e dove ebbe contatti con Enrico Mattei e Mario Ferrari Aggradi. In uno dei suoi ultimi viaggi, verso la fine dell’inverno ‘44, Reti riesce a far inoltrare, attraverso la Svizzera, un documento di grande importanza, il piano per la sincronizzazione delle operazioni di sbarco degli alleati, che era stato predisposto da un generale italiano. Agli inizi di febbraio si reca per l’ultima volta a Milano, dove ha l’incarico di trattare con i dirigenti del CLNAI la questione dell’italianità di Trieste e della Venezia Giulia. I suoi frequenti viaggi a Milano finiscono per insospettire i fascisti che, quando riescono ad arrestare tutti i membri del CLN di Trieste, nel febbraio del 1945 incarcerarono anche lui. Qualcuno aveva parlato. La casa è ripetutamente perquisita e la moglie e le figlie furono interrogate in modo violento. Nessuno dice o rivela niente. Paolo Reti dopo l’arresto subisce molte torture durante gli interrogatori, ma il cappellano del carcere riferisce ai suoi compagni che temevano un suo cedimento e di essere arrestati: “Interrogato, Paolo non parla, non confessa, non svela nomi”. Dopo aver avuto un breve colloquio con la moglie Reti è condotto in Risiera. Di quei giorni si sa poco o nulla: testimoni parlano di una sua fede incrollabile, anche nei momenti più terribili, e della sua richiesta al vescovo di alcuni libri di meditazione in occasione della Settimana Santa. Il vescovo Santin cercò in ogni modo di salvargli la vita, ma fu tutto inutile. Il 6 aprile 1945 gli giunse il biglietto testamento di dodici persone, Lui era tra loro: “Siamo nella Risiera di San Sabba, avvertire il vescovo, le nostre famiglie […] Forse domani non ci saremo più”. Poche ore dopo Reti fu fucilato a San Sabba assieme ad altri undici carcerati e il suo cadavere fu bruciato come quello dei suoi compagni di lotta. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d’argento al valor militare e in seguito quella d’oro. Per ricordare Paolo Reti gli sono state intitolate strade a Trieste e a Genova Sampierdarena. La storia di quest’uomo e i valori che lo hanno spinto a scegliere da che parte stare e a battersi per il futuro del nostro Paese, fatto di democrazia e giustizia, è indissolubilmente legata alla libertà, è un tutt’uno con quella di tanti altri caduti dell’Ansaldo: dall’allievo operaio al dirigente. Sono servite a noi, entrati in fabbrica nelle generazioni del dopoguerra e del boom economico. Ci sono servite per formarci non solo come lavoratori, ma come cittadini di questo Paese. E ogni qual volta qualcuno le ha messe in discussione, ci siamo rifatti al loro esempio per sconfiggere ogni tentativo di portare il paese su strade pericolose. Questo è stato non solo col periodo delle bombe sui treni o negli attentati nelle piazze o alle stazioni, ma anche nel periodo nefasto del terrorismo forti di quei valori e di quel messaggio di unità, abbiamo saputo reagire colpo su colpo. Ecco perché è importante ricordare e non dimenticare: quelle sono le nostre radici che sono la linfa necessaria per proseguire e guardare al futuro.All’ingegner Paolo Reti va inoltre il grande merito di aver sempre sostenuto la presenza del cappellano del lavoro in Ansaldo, presenza che dura tutt’oggi.